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Il Fondo Angelo Dall'Oca Bianca conservato al Museo di
Castelvecchio è costituito attualmente da 594 lastre fotografiche.
[...] I temi delle lastre sono sempre quelli della figura umana, che, quando non è il soggetto principale, è un elemento
significativo della composizione.
Quando il "fotografo" riprendeva ponti, chiese, piazze, vie, mulini, era sempre attento ai modi e ai costumi veronesi,
alle scene di vita quotidiana, ai diversi momenti dell'esistenza umana dall'infanzia alla morte, alle condizioni della
povera gente fra la quale era vissuto fin dagli anni dell'adolescenza, trascorsi in povertà a causa degli investimenti
sbagliati del padre. La povertà lo aveva spinto fuori di casa, negli angoli e nelle strade di Verona, in mezzo al
variopinto e genuino campionario umano che avrebbe offerto innumerevoli spunti alla sua attività di pittore.
[...] I soggetti più frequenti delle lastre sono "balie", "ambulanti", "bivacchi di poveri", "cimiteri", "dame e cavalieri",
"dame con bambini", "funerali", "giardini", "modelle in studio", "mulini", "piazze", "ponti", "Venezia", "vie di Verona",
"Lungadigi", "storpi", "ospedali", "orfanotrofi", " ospizi", "spettacoli in Arena". Sono tutti temi, tranne gli ultimi
cinque, presenti in maniera significativa, anche nell'attività pittorica.
L'attenzione alla figura umana è anche deducibile dall'intervento del "fotografo" nella costruzione della scena.
[...] Già negli anni cinquanta dell'Ottocento erano presenti a Verona fotografi itineranti di origine tedesca, come
Ferdinando Brosy, Eduard Moritz Lotze e Ludwig Kaiser, attratti dalle prospettive di guadagno che offriva la città
scaligera, presidio militare austriaco di circa ventimila uomini. Con il nuovo mezzo avrebbero soddisfatto, con una spesa
relativamente modica, il desiderio di civili e militari, di vedere fissata la propria immagine. Ovviamente non
sottovalutarono il materiale che la città, ricca di storia plurisecolare, poteva offrire ai loro obiettivi e i guadagni
derivanti dall'insegnamento della nuova tecnica.
Intorno all'attività di questi fotografi cresce e matura l'esigenza di registrare le trasformazioni dell'assetto urbano a
partire almeno dal 1882, anno in cui l'inondazione dell'Adige costringe le Autorità pubbliche a modificarne in maniera
definitiva il corso e ad alterare la struttura stessa della città, che cessa di essere una città fluviale.
Nel mezzo di queste vicende possiamo comprendere l'apertura di Angelo Dall'Oca Bianca all'uso della macchina fotografica,
che diventa mezzo veloce per fissare ambienti destinati a scomparire, ragion per cui le lastre fotografiche possono essere
considerate un quaderno di appunti nel quale conservare la memoria di mulini, case costruite sul fiume, canali e ponticelli,
testimonianze della funzione nevralgica che per secoli l'Adige aveva svolto nella vita veronese.
[...] Dall'esame delle lastre fotografiche risulta che Dall'Oca Bianca non fu un fotografo professionista, non solo per gli
esiti a volte scadenti dal punto di vista tecnico, ma anche nel senso che non approdò mai all'autonomia del fotografia.
Non tenne conto delle innovazioni d'inquadratura, di prospettiva e di movimento che il nuovo mezzo rendeva possibile e
normalizzava l'immagine pittorica rispetto alla fotografia.
[...] Anche se la voce che circolava in città, secondo la quale il Dall'Oca Bianca proiettava le fotografie direttamente
sulla tela e contornava le immagini, deve essere accolta con prudenza, è sicuro che l'artista interveniva su fotografie e
riproduzioni incisorie dei suoi dipinti, mosso dal desiderio di riprendere in termini più aggiornati e freschi quadri che
non erano più a sua disposizione. A volte tali interventi erano fini a se stessi.
Sul retro di un ritratto di ragazza conservato alla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Verona, schedato come
"Testa femminile 1925 - 1941, pastello su riproduzione fotografica 49,5 x 33", è leggibile la scritta "pastello su stampa
su cartoncino". Sul cartoncino è stata applicata la stampa fotografica sulla quale sono riconoscibili interventi a
pastello ed a carboncino per tutta la superficie e a china lungo i contorni, sul collo, sulla bocca e, in particolare
modo, sull'occhio. Questi interventi sono i tentativi per mezzo dei quali Dall'Oca cerca di dar vita ad una vera e
propria opera d'arte, nascondendo la stampa, il cui riconoscimento è legato quasi esclusivamente al grigio del fondo, che
fa pensare ad una fotografia fortemente sgranata per l'ingrandimento.
[...] La presenza in alcune lastre di infiltrazioni laterali di luce, dipendenti forse da un difetto della macchina
fotografica (piccolo foro nel soffietto o nel portalastre) o dalla scarsa cura con la quale erano riposte le lastre dopo
lo scatto, mostrano una superficialità tecnica propria di chi non è interessato alla fotografia come espressione autonoma.
[...] Il pittore e cercava di nascondere il suo interesse per la fotografia soltanto al fine di difendersi dal diffuso
pregiudizio nei confronti dell'uso della macchina in pittura e dall'attacco personale espresso sulle colonne de "L'Arena"
del 1899.
"Ha [...] bisogno di ricorrere alla macchina fotografica. [...] un disegnatore che si serve del suo giusto occhio di
proporzione e della sua mano abilissima [...] non ha bisogno di ricorrere alle macchine fotografiche."
Con queste parole l'autore dell'articolo metteva in discussione le doti fondamentali del pittore ed è, quindi,
comprensibile non solo la replica del Dall'Oca dalle colonne de "L'Adige", ma anche il riserbo con il quale si è dedicato
alla fotografia. |