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"I fatti, cioè le opere, ci dicono che dall'Oca fu
artista incostante, formidabile manipolatore del linguaggio (non si fraintenda il termine nella sua accezione negativa),
in bilico tra sincerità e prefabbricazione, ma infine precursore straordinario di quel narcisismo culturale che finirà
con il contrassegnare lo spirito della contemporaneità. Se non si affonda sui termini, si è allora in grado di valutare
ed apprezzare come moderna, anzi modernissima, la capacità del nostro artista di concepire l'essere non disgiunto dalla
sua immagine, non perché una delle due facce della medaglia debba annullare l'altra, ma perché l'una non può prescindere
dall'esistenza dell'altra [...].
E' in ogni caso certo che Dall'Oca, attraverso le vie intuitive e premonitrici che caratterizzano la personalità degli
artisti, si presenta in campo, a cavallo tra i due secoli, con una rara consapevolezza delle due facce della medaglia:
per lui l'essere "è" in quanto si confronta, si nasconde, si traveste, finanche si realizza nell'apparire [...].
Come dar valore di significato, come dare peraltro giustificazione diversa a questo "maneggione" del linguaggio, a
questo "falsificatore" di date, evocatore d'improbabili sentimenti, e tuttavia, alla maniera antica, perfino benefattore
in una città in cui quasi sempre il bene viene inteso esclusivamente in chiave di patrimonio economico? Come intendere
quel suo continuo manipolare le immagini, quel suo "vernacolo" di fatto ben consapevole del più vasto vocabolario
internazionale dell'arte? Come andare oltre il mito, a dire il vero falsamente generoso, e toccare con mano, invece, i
valori indiscutibili di un linguaggio così carico di fascino e di seduzioni?
[...] Probabilmente proprio nella capacità di sfuggire alle definizioni, di avanzare e retrocedere, di incrociare i disegni
delle proprie rotte, interrompendole e riprendendole in assoluto spregio a qualsivoglia pertinenza ed opportunità, proprio
in ciò, dicevo, consiste il fascino del personaggio e l'innegabile sortilegio di un linguaggio cui rimangono sordi solo
gli sciocchi intellettualismi di un malinteso impegno ideologico della critica.
Dall'Oca Bianca maturò il proprio linguaggio in sintonia con la grande stagione simbolista; e simbolista rimase sempre,
anche in tarda età, quando modernismi di ritorno ed infiltrazioni vernacolari, finalizzati a rinsanguare la pittura, più
parrebbero condurlo lontano da quei sentieri. Non fu però, il suo, un simbolismo legato ai principi alti e per così dire
filosofici che facevano capo a Moreas, o, per restare in Italia, all'immaginifica lezione dannunziana. Fu piuttosto un
procedimento di spiritualizzazione intuitiva, per cui le cose della terra si rispecchiavano nei sortilegi del cielo, e si
trasformò, con l'andare del tempo, in un simbolismo attraversato da erotismi, dal taglio vernacolare di un occhio
irriverentemente anti-borghese e da quant'altro potesse verificarsi in un immaginario teatro dei caratteri. [...] La
soluzione che Dall'Oca appresta per questo suo mondo di realtà e di illusioni, di cose, persone e fantasmi, di culture
classiche e popolari, consiste in una sorta di laboratorio dei generi e insieme di teatro delle immagini, laddove l'opera
si possa configurare come un "montaggio", una "visione multipla" del mondo [...]. Ma proprio un tale moltiplicarsi della
visione e questa cosciente "falsità" della stessa rappresentano l'ardimento intuitivo di Dall'Oca, la sua percezione di
un mondo sul confine dell'evanescenza e della virtualità, tenuto fortunatamente insieme solo dalla complice vitalità e
solidarietà del popolo, protagonista irriverente di un vernacolo tanto aspro quanto sensuale e provocatorio ". |