LA MOSTRA
Giulio Paolini, vincitore del Premio Koinè alla carriera per l'anno 2000, è uno dei maggiori protagonisti del panorama artistico internazionale degli ultimi cinquant'anni.
Il suo lavoro si è sviluppato nel crogiolo "poverista" e "concettuale", pur mantenendo un'irriducibile autonomia e originalità che lasciano poco spazio a qualsivoglia ipotesi d'inserimento all'interno delle correnti che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi. Sin dagli anni sessanta Paolini ha esplorato l'enigma e la magia della "visione", sia quando questa viene tracciata nell'universo canonico della superficie pittorica, sia quando coinvolge lo spazio.
Sortilegio ed evocazione sono i parametri attorno ai quali l'artista ha costruito il percorso della mostra - una vera e propria autobiografia - che Palazzo Forti gli dedica.
L'esposizione si articola in sette sale, ciascuna con un titolo diverso:
I - L'opera al vero
II - L'opera e il gioco proibito della (sua) visione
III - L'opera in scena
IV - L'opera in questione
V - L'opera all'opera (L'immagine presunta)
VI - L'opera delle opere
VII - L'opera in prospettiva (l'atto espositivo)
Le sette stanze esprimono nel loro insieme - come spiega lo stesso Paolini nel suo saggio in catalogo, intitolato Esporre e sottrarre (tutte le mostre in una) - l'intenzione di "concentrare in una sola esposizione tutte le esposizioni allestite fin qui. Comprese quelle un tempo previste, ma mai realizzate e quelle ancora in fase di progetto in attesa di realizzazione".
Nessuna delle opere in mostra (Quattro immagini uguali, 1969 - 2001; Eclat, 1987 - 2001; Teatro dell'opera, 1992 - 1993; Dilemma, 1995 - 1998; Essere o non essere, 1994-1995; L'apparizione della Vergine, 1995 - 1996; Les instruments de la Passion, 1986-1998; Photofinish, 1993-1994; L'Ile Enchantée, 1995-1998; L'ospite, 1989-1992; In ascolto, 1998 - 1999) può dirsi nuova.
Si tratta di soggetti a lungo meditati dall'artista, la cui genesi risale, in alcuni casi, alla fine degli anni sessanta.
Poste le une accanto alla altre, queste opere - installazioni in cui convivono disegni, fotografie, sedie, tavoli, cavalletti, calchi in gesso, riproduzioni fotografiche, fogli bianchi - acquisiscono una fisionomia nuova e danno vita ad una sola grande opera. Essa viene di fatto a identificarsi con l'intera esposizione. La mostra si presenta allora come una sorta di antologia personale dell'artista.
Alla base di tutto sta la convinzione di Paolini che "l'opera conosce il suo effettivo compimento nell'istante e nel luogo della sua esposizione, l'una presume l'altra (e viceversa) fino alla reciproca e speculare confusione dei ruoli."
E' il nostro punto di vista (non l'opera, non l'oggetto), la traiettoria dello sguardo (sempre diversa) a delineare lo spazio dell'esposizione. L'opera è insomma un'astrazione, un'entità inafferrabile, indicibile che assume consistenza fenomenica solo nell'istante in cui si svela, in cui appare al nostro sguardo nella realtà dell'esposizione.


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