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Spesso le collezioni delle Gallerie italiane si misurano con
la casualità della loro stessa storia, in cui s'intrecciano donazioni, lasciti di varia natura, acquisti mal distribuiti
nel tempo, quasi sempre sporadici, mai comunque rispondenti ad un progetto. E' questa la singolare vicenda della cultura
italiana degli ultimi due secoli, in relazione con gli eventi dell'arte contemporanea. Sono peraltro queste le ragioni
che hanno prodotto il disperdersi della produzione dei grandi maestri, dalla metafisica al futurismo, dalle avanguardie
alle neo-avanguardie.
Il fenomeno si è accentuato di generazione in generazione, da quando le svolte epocali della cultura occidentale hanno
determinato, nel bene e nel male, la fine delle fisionomie e delle tipologie cittadine, regionali o nazionali, che prima
potevano di per se stesse fornire un criterio di scelta e caratterizzare il profilo di una collezione. In Italia
l'identità "comunale" ha resistito più a lungo che in altri paesi europei, garantita dai risultati stessi degli artisti.
Fino alla metà del secolo appena terminato si diceva e si poteva dire ancora "i milanesi, i veneziani, i veronesi, i
romani…". Ogni città aveva insomma i "suoi" pittori, e sappiamo di quale alta qualità e risonanza fosse spesso il loro
lavoro. Tale situazione si è peraltro protratta per qualche tempo anche dopo lo spartiacque bellico: ma ormai aveva un
sapore diverso e quando si diceva "i bolognesi", piuttosto che "i veronesi", ci si riferiva più alla realtà del mercato,
o comunque dei poteri culturali, che alla tipologia dei linguaggi.
Naturalmente a tali condizionamenti della vicenda storica contemporanea non poteva sfuggire la città di Verona. Qui,
peraltro, la moderna sensibilità creativa, vivacissima agli esordi del secolo, si contraeva in seguito in fasi
episodiche, spesso vanamente rivendicative e contratte in una sorta di improduttivo risentimento. Ma per guardare la
cosa sotto il profilo della raccolta e conservazione della produzione artistica, la collezione pubblica rimaneva ben al
di qua di una vera e propria apertura oltre i propri confini. Si pensi solo al fatto che, prima degli acquisti di
quest'anno, nessun artista straniero era stato collezionato dalle istituzioni culturali della nostra città.
Una collezione tutt'altro che disprezzabile per quanto riguarda alcune fasi dell'Ottocento e dei primi decenni del secolo
scorso, non aveva potuto di fatto progredire aggiornando il proprio repertorio. Quanto detto può peraltro valere come
breve premessa, utile a delineare il panorama che la storia ancora recente ci ha lasciato in eredità e a sottolineare
l'importanza della svolta progettuale che l'attuale politica culturale veronese ha voluto imprimere.
Il problema attuale è in ogni caso un altro: come riprendere il cammino interrotto? O, meglio ancora: come iniziare un
cammino finora, malauguratamente, non ancora metodologicamente intrapreso? E come, infine, accordare un programma di
acquisizioni con le risorse economiche, non ancora congrue, ma tuttavia finalizzate, finalmente, a questa voce
fondamentale di una pubblica istituzione?
Da un lato si avverte dunque l'esigenza di recuperare il tempo perduto, pur nella consapevolezza che, per soddisfarla,
sarebbero necessari finanziamenti molto più consistenti di quelli attualmente disponibili e che, nell'attesa, tale
recupero si trasformerebbe in un perpetuarsi del ritardo; da un altro lato incalza l'urgenza di non lasciare inevase le
istanze più attuali del linguaggio, col risultato inevitabile di assommare ritardo a ritardo: questa di fatto la forbice
all'interno della quale ci si deve e ci si dovrà muovere, se tali rimarranno le disponibilità economiche.
A tale proposito la risposta più urgente da offrire alla città è parsa quella di non esasperare il ritardo, di attendere
al presente con la giusta e doverosa proiezione verso il futuro, e, strada facendo, di rinforzare il recente passato,
laddove i vuoti esistenti trovino rispondenza nelle occasioni favorevoli del mercato. Impresa non facile, ma tuttavia
perseguibile. In questo primo intervento siamo ad esempio riusciti ad acquisire un'importante opera di Moggioli, che
contribuisce al profilo dell'arte italiana tra il '30 e il '40, nel momento stesso in cui si rispondeva alla sfida del
presente.
Non vi è dubbio alcuno che la svolta tra i due secoli ha generato un profondo rinnovamento dei linguaggi, una smagata
capacità delle giovani generazioni culturali di muoversi con media inusuali, o comunque di sciogliere i linguaggi
dell'arte dai vincoli privilegiati con questa o quella tecnica . Nel grande mare dei mezzi espressivi oggi le giovani
generazioni culturali esprimono malessere e vertigine, archeologie del presente e sogni del passato, attraverso una
nuova e singolare libertà di sintesi e di racconto. Sono peraltro tramontati i tempi delle tendenze, dei gruppi, delle
poetiche profondamente vissute, ma al tempo stesso repressive nei riguardi della libera espansione del pensiero e delle
emozioni che ne costituiscono la causa e insieme l'effetto. Non da oggi gli artisti vivono una loro "globale"
individualità, immersi in un mondo iperesteso, fonte di allarmi e nello stesso di nuove, possibili dimensioni
d'intervento.
Il progetto d'acquisizioni non poteva quindi trascurare le realtà culturali in atto, il clima di un territorio artistico
sfaccettato e spesso produttivamente contraddittorio. Si è dunque lavorato soprattutto in ordine ad una prima serie di
campionature emergenti, ma già consolidate nel panorama nazionale ed internazionale: dalle nuove esperienze con il mezzo
fotografico, all'attenzione per le tipologie del video, dagli allestimenti agli enigmi o alle nuove ironie della
scultura. Ma non sono assenti i materiali tradizionali, come la pietra e la terracotta, e convivono senza imbarazzo
alcuno "generi" diversi, da quello figurativo a quello di matrice astratta o minimalista, per fare solo qualche esempio.
Ognuno di questi artisti ha una sua individuale e personalissima storia operativa, tutti però condividono la
rivendicazione di una libertà espressiva irriverente delle moderne mitologie, a partire dal mito stesso della modernità.
E' in ogni caso attraverso questa risentita negazione dei dogmi, siano essi culturali o ideologici, che transita la più
attenta e sensibile esperienza del mondo. |